Vaede |
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| Poco fa stavo guardando una trasmissione di D’Averio, sul terzo, dedicata alla casa di Augusto.
Ad un certo punto è stato mostrato un affresco in cui si notava un tentativo molto rozzo di realizzare un effetto prospettico. Da lì è partita una discussione sul rapporto tra romani e scienza, tra D’Averio e la sua guida, di cui purtroppo non ricordo più il nome.
Quello che si è sostenuto è che i romani, eminentemente pragmatici, erano dispostissimi ad accettare nuove tecnologie ma, nello stesso tempo, non comprendevano l’importanza delle teorie che supportavano le tecnologie stesse. Come, per esempio, la matematica soggiacente alla realizzazione di una prospettiva corretta.
Non è che si limitassero a non conoscerla, proprio non gli interessava cercarla. Con la Grecia la scienza teorica finisce. I romani, a quanto ne so, costruirono immensi acquedotti ma ignoravano le equazioni di flusso che permettono di calcolare la portata di una condotta in base alla pendenza ed al diametro della stessa.
E probabilmente non si preoccuparono mai di cercarle. Ciò mi è apparso particolarmente rimarchevole perché proprio ieri sera mi sono imbattuto in un articoletto (su Le Scienze) a proposito del cosiddetto “Meccanismo di Antikythera”, datato tra il 100 ed il 150 d.c., è che è stato di recente smontato (virtualmente) nelle sue componenti tramite tecniche di tomografia a raggi X.
Si tratta di un calendario astronomico estremamente raffinato, permetteva di calcolare le orbite dei pianeti nonché eclissi di sole e di luna, basandosi probabilmente sulle teorie di Ipparco. Gli anni erano considerati correttamente di 365 giorni più i bisestili ma comprendeva anche le correzioni cicliche dovute al fatto che l’anno non è esattamente di di 365 giorni e quattro ore. La precisione sembra fosse di 5 parti su un milione.
Una precisione simile, ed una simile capacita di lavorare i metalli, ricompariranno solo con gli orologiai del settecento. Ecco, da da pensare...
Nanni
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