La maxitangente Enimont

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Alekos86
view post Posted on 23/5/2011, 18:38





Nel 1990 Raul Gardini ordina ai suoi top manager Giuseppe Garofano
e Carlo Sama, di mettere insieme una provvista di fondi neri
per almeno 140 miliardi di lire da destinare ai partiti, in cambio
della legge sulla defiscalizzazione della quota dell' Enimont che il
gruppo Ferruzzi rivende all'Eni a prezzi gonfiati. Se ne occupa il
consulente della Montedison Sergio Cusani, grazie all'aiuto del costruttore
romano Domenico Bonifaci. Questi vende a due consociate
Montedison altrettante società di sua proprietà a un prezzo
enormemente superiore al valore reale: circa 140 miliardi in più.
Poi trasforma quell'enorme differenza in Bot e Cct e la restituisce
a Cusani. Dopodiché, bisogna trovare il modo di riciclare quella
montagna di titoli di Stato. E ovviamente negoziarli presso qualche
banca. Monetizzarii, trasformarli in contante, così da far perdere le
tracce della loro provenienza. Entra allora in scena un buon
amico di Cusani, un giornalista dell'Ansa diventato responsabile
delle relazioni esterne dell'Enimont: Luigi Bisignani, già iscritto
alla loggia P2, grandi entrature presso lor Santa Sede e, soprattutto,
presso monsignor Donato de Bonis, alto dirigente dello lor, la
banca del Vaticano. Bisignani si rivolge allo Ior e ottiene quel che
vuole: cambiare gran parte dei titoli (91 miliardi) in contanti e girarne
il controvalore su conti di banche estere per girarli - almeno
in parte - ai politici più in vista del governo e della maggioranza
dell'epoca. II resto dei titoli viene consegnato direttamente
ad alcuni destinatari, che provvederanno a metterli all'incasso: 3
miliardi e 400 milioni al “re del grano” Franco Ambrosio, che li
cambia per conto dell'amico Paolo Cirino Pomicino; 4 miliardi al
presidente socialista dell'Eni Gabriele Cagliari, tramite un collaboratore;
900 milioni alla moglie del ministro delle Partecipazioni
statali, l'andreottiano Franco Piga; un miliardo al vicepresidente
democristiano dell'Eni Alberto Grotti e così via.
La caccia dei giudici di Milano al tesoro della maxitangente
non permetterà di ricostruire i destinatari di tutte le mazzette, mancheranno
all'appello ben 75 miliardi, distribuiti «a uomini politici
non individuatil>. Cusani, chiuso nel suo silenzio ieratico, rivelerà
poco o nulla, trincerandosi dietro il <<segreto professionale>>,
e dirà di aver versato 63 di quei 75 miliardi a non meglio precisati
"fiduciari di Gardini» a Montecarlo.
Alla fine, comunque, almeno qualche somma viene attribuita con
nomi e cognomi. A Craxi vengono contestàti quasi 11 miliardi (7,5
per lo scioglimento di Enimont più 3,4 per le elezioni politiche del
1992). A Citaristi e Forlani 8 miliardi (6,5 più 1,5). Al Pci un miliardo
consegnato personalmente da Gardini a Botteghe Oscure (a
chi non si sa, perché il <<corsaro» è morto suicida prima di raccontarlo).
Poi ci sono i «regali>> a singoli politici: 5,5 miliardi in tutto a
Cirino Pomicino,500 milioni al socialista Claudio Martelli, 100 al
repubblicano Giorgio La Malfa, 50 ai liberale Egidio Sterpa, 100 a
Pillitteri (poi assolto), 100 al socialdemocratico Carlo Vizzini (poi
salvato dalla prescrizione), 100 a De Michelis.200 milioni al liberale
Renato Altissimo, 200 ai capo della Lega nord Umberto Bossi,
Al processo Cusani, chiamati a testimoniare da Di Pietro, i politici
incriminati confessano tutti. Confèssa Craxi, Confèssa Bossi
col suo cassiere «pirla» Alessandro Patelli. Confessa Martelli (anche
se tenta di accreditare la balla secondo cui Sama gli aveva garantito
che i 500 milioni che gli passava in nero erano soldi suoi e
non della società). Confessa con la consueta sfrontatezza Pomicino:
quando Di Pietro gli contesta Unna stecca da 3 miliardi, lo corregge
puntiglioso per non fare la figura del pezzente: «No, guardi.
dottor Di Pietro, i miliardi erano 5 o poco più. ».



Marco Travaglio, La scomparsa dei fatti.
 
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